I bambini abbandonati nell' 800

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Regno d'ditalia e il codice civile

In Italia era entrato in vigore dal 1° gennaio 1866 un nuovo codice civile.
La parte che regolamentava la filiazione è contenuta nel titolo VI del libro primo, dove la qualità di figlio legittimo o non, dipende dalle circostanze in cui si trovavano i genitori al momento del concepimento:
si distingue tra “filiazione della prole concepita o nata durante il matrimonio ” (partoriti dopo 180 giorni dalle nozze o entro 300 dallo scioglimento del matrimonio) e “filiazione della prole nata fuori di matrimonio”.
In quest'ultimo caso, si distingue inoltre tra figli naturali, i quali potevano essere riconosciuti in quanto nati da persone libere, e quelli che non potevano essere riconosciuti in quanto nati da relazioni adultere o incestuose, a cui era quindi vietata la ricerca di maternità e paternità.

L’art. 55
riconosce come matrimonio legittimo e valido, per tutti i cittadini italiani, solamente quello civile e non quello canonico come in precedenza.
Considera quindi illegali le unioni contratte con solo rito religioso e illegittimi gli eventuali figli nati.
Nonostante ciò, molte persone continuano a preferire il matrimonio canonico, senza preoccuparsi di celebrare l'unione davanti all'ufficiale dello Stato civile: ciò porta a considerare le coppie così formate come semplici concubini.
Tale resistenza alla celebrazione del matrimonio civile, avviene soprattutto nelle campagne e nei territori dell'Italia Centrale una volta appartenenti allo Stato Pontificio e diventerà una delle cause principali dell'aumento della natalità illegittima: anche secondo gli statistici dell'epoca, questo fa rilevare un aumento di bambini registrati come illegittimi.

Nell'art. 159
si afferma che “il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio”: all'uomo coniugato è quindi imposta la paternità, non tanto dalla natura quanto dallo Stato stesso. Tuttavia, questa presunzione di paternità può decadere se il marito dimostra una di queste determinate ipotesi: Nell'art. 179
si afferma che il figlio naturale può essere riconosciuto dal padre e dalla madre, tanto congiuntamente quanto separatamente:
il riconoscimento è concepito come atto volontario e libero, quindi il padre può esprimersi solo sulla propria paternità e la madre sulla propria maternità, senza vincolare l'altro genitore.
Per facilitare questo atto, la legge permette ai genitori di decidere se e in quale momento riconoscerlo.
Il figlio, una volta riconosciuto, ottiene:

Nell'art. 189
il codice si occupa delle indagini sulla ricerca di maternità e paternità. La ricerca della prima è sempre ammessa per ragioni naturali, ovvero il parto, del quale è possibile fornire prova certa.
Per quanto riguarda la seconda, scaturisce il divieto assoluto di ricerca a tutela della “stabilità e del decoro delle famiglie”.
Si ripropone quindi, per l'ennesima volta, la contraddizione tra la tutela della famiglia legittima e il riconoscimento
di diritti e legami “familiari diversi”.

pdf agli articoli 55-159-179-189

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SITUAZIONI PARTICOLARI: LOMBARDIA E VENETO

Un caso particolare fu quello della Lombardia e del Veneto, che entrarono successivamente a far parte del Regno d’Italia (la prima nel 1865 e la seconda nel 1871) e quindi fino ad allora in queste regioni vigeva ancora il codice civile asburgico.
Infatti le Istituzioni degli esposti e la filiazione erano regolamentati in modo diverso rispetto al resto d’Italia.
Un esempio molto evidente di questa diversità riguarda la ricerca della paternità:
nel Lombardo-Veneto non vi era il divieto assoluto, ovvero tutti i figli illegittimi potevano, con tutti i mezzi, ricercare il padre.
Tuttavia, una volta riconosciuti, erano comunque esclusi dal godimento dei diritti di famiglia e dall’uso del cognome paterno.

Dal regolamento dell’Istituto Esposti del 1875:

CAPITOLO X

Art.170 L' identificazione degli Esposti può essere promossa o dall'Ospizio o dai genitori, o da altre persone strettamente a ciò interessate.
La prima norma di identificazione avviene a scopo di ordine pubblico, di sociale moralità e dell'interesse dell'Ospizio;
alla seconda non si può dar corso che o per fine di poter visitare un proprio figlio, ovvero per quello di recuperarlo definitivamente dall' Ospizio salvi i casi di mozione e pertinenza giudiziaria.

Art.171
La Direzione può fare delle indagini sulla paternità, o sull'appartenenza in genere di un trovatello, soltanto quando abbia fondati motivi di ritenerlo per un figlio legittimo o naturale dichiarato, e ciò al provvido intento di rimettere i trovastelli nei loro diritti civili, restituendoli alle proprie famiglie; di stornare gli atti di nascita satto ideale denominazione, allorchè risulti che gli individui furono regolarmente inscritti quali legittimi o naturali allo Stato civile prima della loro esposizione; di promuovere in senso di legge il riconoscimento e la conseguente rettifica dallo Stato civile per quelli che prima dell'esposizione non vi furono inscritti come legittimi al nome dei genitori.

pdf del capitolo 10

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L’ABOLIZIONE DELLA RUOTA in ITALIA e a VERONA

L’incapacità economica da parte dei brefotrofi di gestire un numero elevato di bambini che ogni anno entravano, l’alta mortalità infantile e la convinzione da parte delle autorità che la ruota, principale luogo di abbandono dei neonati, rendesse troppo facile liberarsi di un figlio, portarono alla decisione di abolire la ruota degli esposti, il dibattito sull’abolizione che doveva anche tener conto delle diverse situazioni presenti in Italia fu lungo e difficoltoso.
Tutte le ruote scomparvero ufficialmente nel 1923 con l’approvazione del regolamento generale per il servizio di assistenza agli esposti del primo Governo Mussolini.
A Verona il movimento tendente alla soppressione della “Ruota”, ispirato da Antonio Agostini, Direttore dell’Istituto degli Esposti della città, portò alla realizzazione di questo obiettivo già nel 1874.

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IL NOVECENTO E LA NUOVA CODIFICAZIONE

Dal 1916, il brefotrofio accoglie solo i figli illegittimi di cui la madre si doveva occupare per i primi 3 mesi.
Ciò determinò l’abolizione del diritto di anonimato nella maternità e la soppressione dell’infame potestà,
ovvero quella di liberarsi dei propri figli.
Nominato un tutore, i bambini abbandonati, compiuto il diciottesimo anno di età, dovevano lasciare l’Istituto, che però li aiutava nel trovare un lavoro e nel realizzare un matrimonio.
Il tema della ricerca della paternità viene invece trascurato nel 1908, durante il Congresso Nazionale, nel quale ci si focalizza principalmente sulla maternità e su una sua maggiore tutela.
Tuttavia, con il fascismo, le riforme sul ruolo della madre non hanno successo, in quanto viene ribadita l’importanza e il potere del padre all’interno del nucleo familiare.
Infatti, nel nuovo codice civile del 1942, queste riforme vengono solo in piccola parte approvate e non sono particolarmente rilevanti.
Nel Novecento viene superata la normativa del c.c del 1865, sulla ricerca della paternità: al figlio è permesso di dichiarare l’identità del padre,
a partire dal 1° luglio 1939, quando:

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IL CODICE CIVILE A CONFRONTO CON LA COSTITUZIONE DEL 1948

La Costituzione repubblicana del 1948 non porta significativi cambiamenti in tema di famiglia, la quale viene definita come “società naturale fondata sul matrimonio”.
Nella Costituzione compare il principio sulla necessità di tutelare i figli nati al di fuori del matrimonio, perciò illegittimi.
Tuttavia, rimane comunque una differenziazione di concetto tra questi e quelli legittimi: infatti viene specificato che la tutela degli illegittimi deve essere compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.
Infine, ricompaiono nuovamente i limiti sulla ricerca della paternità, riproponendo quindi la disparità di diritti tra uomo e donna, nonostante nella Costituzione sia dichiarata la loro uguaglianza.


(Chiara Chesini e Stefani Tomsik)

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